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giovedì 26 ottobre 2017

La scienza e il neo-lberalismo

In un recente articolo sul Guardian l'autore (Stephan Metcalf) riassume l'avvento della filosofia di Hayek dal dopoguerra ad oggi. Filosofia che è rozzamente riassunta in: il mercato è in grado di regolare nella maniera ottimale ogni aspetto della società.

Ma per spiegare come il dilagare del neoliberalismo abbia portato a far vincere negli ultimi tempi movimenti politici che spesso dichiarano di odiare questa stessa filosofia, l'autore compie una strana contorsione.

Avrebbe potuto semplicemente dire "questa filosofia non funziona - il mercato non è ottimale - e il cittadino vota contro una visione fallimentare del mondo nell'unico modo in cui può" (il cittadino in effetti potrebbe fare meglio, ci fossero dei movimenti credibili e autorevoli che si dichiarano programmaticamente contro il neoliberalismo; in assenza di questi movimenti il cittadino finisce per abbracciare nazionalismi anche estremi, populismi confusi, leader senza alcun programma sensato, etc.).

L'autore invece sceglie di passare per un'idea giusta ma sbagliata.

L'autore scrive "What can’t be quantified must not be real, says the economist, and how do you measure the benefits of the core faiths of the enlightenment – namely, critical reasoning, personal autonomy and democratic self-government? When we abandoned, for its embarrassing residue of subjectivity, reason as a form of truth, and made science the sole arbiter of both the real and the true, we created a void that pseudo-science was happy to fill. The authority of the professor, the reformer, the legislator or the jurist does not derive from the market, but from humanistic values such as public spiritedness, conscience or the longing for justice. Long before the Trump administration started demeaning them, such figures had been drained of salience by an explanatory scheme that can’t explain them. Surely there is a connection between their growing irrelevance and the election of Trump, a creature of pure whim, a man without the principles or conviction to make for a coherent self."

Mi sembra una giusta intuizione (non voglio ovviamente dire che sia nuova) quella di legare l'esaltazione del mercato all'esaltazione del "quantitativismo". E quindi la negazione di ogni valore che non sia quantificabile, di tutti gli aspetti umani della ragione, cioè quegli aspetti che sfuggono alla volontà oggettivante della scienza. Mi sembra un'intuizione molto giusta quella che scienza e ragione non coincidono, che la prima è la disumanizzazione della seconda.

Mi sembra un'intuizione sbagliata quella di vedere la sconfitta del piano umano (e quindi di certe autorità, ad esempio quella del professore, del riformatore, del legislatore, del giurista e io aggiungerei anche del medico) come un fenomeno passivo e ineluttabile, deciso da altri fuori della propria sfera (ad esempio dai cittadini). Le autorità razionali ma umane hanno spesso abbracciato esse stesse la religione della quantificazione. Le università vogliono quantificare il valore dei docenti, degli studenti, dei corsi, etc. I medici vogliono misure oggettive e parametri condivisi. I legislatore vuole affidarsi alla democrazia diretta. Sono stati i detentori della ragione a cedere le armi alla scienza del prezzo e della quantità, vedendola come occasione per liberarsi di ogni responsabilità. Ma chi si deresponsabilizza finisce per perdere autorevolezza e quindi autorità. Se un medico dice "tutto quello che faccio è applicare La Scienza", un suo errore equivarrà a un fallimento de La Scienza. Il paziente curato male rifiuterà La Scienza, anzichè il suo medico.


Riassumendo. La ragione umana si è inginocchiata al suo lato disumano, la scienza-prezzo (così come il cittadino ha elevato il prezzo ad arbitro del proprio valore). La scienza però periodicamente fallisce, è un'impresa umana. Come il mercato. E così come da troppo mercato emergono i movimenti "anti-liberali", da troppa scienza emergono i movimenti anti-scientifici. Sono due fenomeni paralleli e in entrambi i casi i principali attori delle rispettive sfere (i politici e gli intellettuali) hanno scelto un fanatismo che prometteva efficienza senza responsabilità. Fallendo e subendo la punizione (scomposta e irrazionale) della democrazia.









domenica 12 febbraio 2017

L'economia va insegnata dalla terza elementare.

Nel mio vagabondare, probabilmente zoppo, non trovo nessuno che lo dica così chiaro e tondo. Per cui lo faccio io.

L'economia è importante - per la vita di un cittadino libero - quanto la grammatica e l'aritmetica, quanto la geografia e la storia. Ne ha bisogno per respirare.

Il problema dell'economia, mi sembra, non è che sia più difficile della grammatica, dell'aritmetica, della geografia e della storia. Il problema è, forse, che l'economia è una storia di idee che si scontrano tra loro (e, più raramente, con l'empirico).

Va bene, sarebbe il caso comunque di insegnarla come tale, nelle scuole, fin dalle elementari. Servono profondi conoscitori di queste idee che sappiano metterle tutte in chiaro, nel loro susseguirsi logico e storico. Che scrivano un "sussidiario di economia" per bambini di otto anni.

E' un esercizio dal quale la stessa economia trarrebbe giovamento. Un bambino di otto anni non sa nulla di politica. Eppure si chiede cosa succede nel mondo, da dove arrivano i soldi, dove vanno. Da dove vengono le merci. Cos'è un lavoro, cos'è una tassa, cos'è un prezzo. L'economia è una visione aperta e completa del mondo, che per funzionare - per essere convincente - ha bisogno di mettere tutte le carte sul tavolo. E' una fisica degli scambi tra persone.

Forse non si insegna a scuola perchè non c'è mai stato nessuno capace di insegnarla. Questo non toglie che sia necessario provarci.

lunedì 30 gennaio 2017

Numeri

Mi piacciono di più le parole, ma capisco di più i numeri.

La fonte è l'istat e per il 2015 è ben riassunta qui



Italia popolazione

Il pil italiano nel 2015 è stato 1642 miliardi

Il volume di importazioni/esportazioni annuali del 2015 è di 443/493 miliardi (circa 30% del pil)


Italia stato

Il gettito fiscale nel 2015 è di 490 miliardi (30% del pil)

Il debito pubblico accumulato fino al 2015 è di 2170 miliardi (132% del pil) che implica una spesa annuale di 68 milardi annui di interessi passivi (3% del debito, 4% del pil)

Entrate e uscite della PA sono circa 785/828 miliardi: deficit di 43 miliardi (2,6% del pil)

Il saldo primario (entrate-uscite-interessi) del 2015 è stato di 25 miliardi (1,5% pil)



L'italiano in media produce 27mila euro l'anno, compra e vende circa 8mila euro di beni, paga circa 8mila euro di tasse. Lo stato ha un debito pregresso di circa 35mila euro per italiano, e per questo debito paga mille euro annui per italiano, se non pagasse questo debito sarebbe in attivo di 400 euro per italiano.

lunedì 12 dicembre 2016

La ricchezza (da solo)


”Dov’è il denaro per fare tutto questo?”. “Il denaro? – feci io – non costruirete mica le case col denaro? Volete dire che non ci sono abbastanza mattoni e calcina e acciaio e cemento?”. “Oh no – rispose – c’ è abbondanza di tutto questo. “Allora intendete dire che non ci sono abbastanza operai?”. “Gli operai ci sono, e anche gli architetti”. Bene, se ci sono mattoni, acciaio, cemento, operai e architetti, perché non trasformare in case tutti questi materiali?”.
(Keynes, intervista alla BBC 12/4/1942 - citata ad esempio da Report nella puntata "Gli austeri")


Vorrei scrivere un post essenziale, ma questa volta essenziale potrebbe non voler dire breve.

Mi guida l'ignoranza. Pensieri anarchici (e filosofici!) sull'economia. Che sono stati fatti da molti altri nel corso dei secoli e ripetuti, migliorati, digeriti (e defecati) centinaia di volte. Ma tanto nessuno mi legge e quindi non mi vergogno di essere vergognosamente ingenuo. So bene, ad ogni modo, che la storia dell'economia parte grosso modo da .

Mi guida anche (o soprattutto) una certa insoddisfazione. I testi di economia non sono chiari. Forse studiando di più lo diventerebbero. Anche un testo di fisica, persino uno divulgativo, può non essere chiaro a chi non ha studiato abbastanza. Daccordo. Ma c'è un però. La fisica la devono sapere i fisici, non è strettamente necessario che la sappiano i cittadini. L'economia invece sarebbe importante che la sapessero tutti. Per motivi misteriosi la fisica si studia a scuola, l'economia no...

Quindi provo a fare una cosa sbagliatissima. Provo a farmi l'economia.... da solo. E comincio appunto da una domanda che mi pongo spesso. Si può misurare la ricchezza? E se sì, come?



Nei fumetti la ricchezza è un forziere pieno di monete. Per un cittadino "medio" come me, il concetto ingenuo ricchezza = soldi in banca può essere un punto di partenza non troppo ridicolo. Ma.

Usiamo i soldi "posseduti" per misurare la ricchezza di qualunque entità? Ad esempio: c'è il conto in banca dello stato? La banca d'italia ha un forziere? Incredibile a dirsi, la risposta è sì. Nel forziere della banca d'Italia ci sono 2452 tonnellate d'oro, un valore di circa 77 miliardi di euro, quarta riserva al mondo (dopo fed, buba e fmi). Non è poco, ma neanche tantissimo: poco più di 1000 euro a persona... Non è certo questa la ricchezza dello Stato Italiano. Nè tantomeno quella degli italiani.

Esistono altre forme di ricchezza materiale: cose che hanno un valore e che non sono soldi o metalli preziosi. Io ho una casa. Lo stato ha palazzi, monumenti, il demanio, il territorio. Un imprenditore ha i mezzi di produzione, essenziali alla creazione di nuova ricchezza. E poi esistono forme di ricchezza immateriale: c'è la conoscenza (ad esempio tecnologica), c'è la salute (signora mia). E soprattutto c'è il credito. E questo mi ricorda che ho un mutuo da pagare.



Il credito complica parecchio le cose: per misurare la mia ricchezza devo sottrarre dal conto in banca il totale del mutuo da restituire (inclusi gli interessi)? Se lo facessi (e se non contassi il valore dell'appartamento che ho comprato, insistendo a guardare solo il conto in banca) sarei enormemente in rosso, ma è chiaro che non ha molto senso: infatti se la banca mi ha prestato dei soldi è perché ha fiducia in me, sa che glieli restituisco in 30 anni, posso dimenticarmene e continuare a condurre la mia vita da benestante. Quindi non sono mostruosamente povero, sono solo un normale debitore. E la banca che mi ha prestato i soldi? Li conta come suoi, o no, quei soldi che mi ha prestato? Quelli sono i soldi dei correntisti, li deve contare per forza come suoi. Quei soldi insomma ce li abbiamo sia io sia la banca che me li ha prestati. Meglio: non ce li ho più io, ma il signore che mi ha venduto casa, che li avrà messi nella sua banca (se non ci si è comprato un'altra casa). Quindi quei soldi ce li ha la mia banca e un'altra banca. Questa storia lo so come va a finire: grazie all'obbligo di riserva le banche non possono moltiplicare all'infinito la ricchezza (comunque virtuale, visto che in tutti questi prestiti e acquisti di soldi veri se ne vedono pochissimi). Ma ora questo discorso non mi interessa tanto, almeno per il momento.

Resta il fatto che quando il credito compare sulla scena, il discorso sulla ricchezza diventa sfuggente, si ingarbuglia, perde di oggettività. Un commercialista, immagino, sa come gestire crediti e debiti dal punto di vista contabile. Un bilancio dovrebbe contenere la ricetta giusta per risolvere il mio problema (misurare la ricchezza di una persona, di un'imprenditore, di uno stato, di un paese). In effetti in un bilancio contano le derivate, se nel tempo la ricchezza entra o esce, se i debiti aumentano o diminuiscono, se i debitori pagano, se i creditori hanno fiducia etc. Ed è vero che un certo grado di ambiguità c'è: le cifre nei bilanci possono avere diverse interpretazioni, ci si possono leggere sfumature diverse. Si tratta soprattutto di un'informazione dinamica. Produzione, consumo, entrate, uscite, debiti, crediti.

E così anche per un paese. So che la macroeconomia ha stabilito nel corso dei secoli gli indicatori di contabilità che misurano la dinamica della ricchezza di un paese: il famigerato pil - che a quanto pare era com'è oggi già nella testa di Adam Smith (fine del '700) - ci dice subito che il conto in banca non ci interessa, ma ci interessa quello che compriamo (o - equivalentemente - quello che produciamo).

Ma se la ricchezza di un paese è quel che produce, come fa qualcuno a dire "non si produce perchè non ci sono i soldi per farlo"? Che vuol dire? Per produrre di più devo produrre di più?


Mi viene in mente un concetto semplice della meccanica: la barriera di potenziale. Se qualcuno mi presta dell'energia supero la barriera e magari dall'altra parte trovo un minimo più profondo, restituisco l'energia che mi hanno prestato e ne ho dell'altra tutta per me. I progressi tecnologici degli ultimi secoli sono anche questo: barriere di potenziale scoperte e superate. Investimenti (energia pagata per scavalcare un ostacolo) che hanno spalancato grandi ritorni economici, o immensi giacimenti di energia. L'energia nucleare è un esempio, tanto quanto il benessere occidentale. Queste ricchezze erano nel nostro pianeta, nascoste in una maniera solo apparentemente diversa da un filone d'oro. La ricchezza dunque è nascosta in "dimensioni" che non conosciamo. E se non le conosciamo sono potenzialmente infinite.

E' soltanto questo? Se siamo poveri (meglio: non abbastanza ricchi) è perché non abbiamo trovato nuova ricchezza, dobbiamo continuare a cercare?

Sarebbe così se la ricchezza, man mano che sgorga dai giacimenti dimensionali, si distribuisse ragionevolmente tra tutti. Gli economisti che mi sembrano amichevoli (studierò, prometto) giurano che la "distribuzione della ricchezza" è il risultato di una contrattazione tra gli uomini, tra gli stati e tra le classi sociali, e non il risultato inderogabile di un bilancio tra forze su cui non possiamo agire.

La ricchezza che già c'è nel mondo, nel corso degli ultimi decenni ha cambiato mano molte volte. Abbiamo avuto anni, in occidente, di crescita del benessere collettivo. La direzione è poi cambiata e al benessere collettivo è rimasta un'inerzia in via di smorzamento. Negli stati uniti ad esempio è successo questo:


Ma se quel che ho scritto finora ha un senso, è chiaro che questo scollamento tra produzione e retribuzioni non può finire bene. La ricchezza che non è andata distribuita, dov'è finita? In qualche forziere? Ma non significa questo tornare a nasconderla? La prima naturale risposta è che (buona parte di) quel che non finisce in retribuzione finisce in capitale per nuovi investimenti. Si potrebbe ad esempio pensare che la differenza tra la curva blu e la rossa qui sopra sia stata investita in altri stati e che quindi sia andata a generare (dissotterrare) ricchezza in altre parti del mondo. E' un'ipotesi ottimistica, ma di sicuro negli ultimi decenni c'è stato un aumento degli standard di vita in molti paesi fuori dal "circolo" dei paesi occidentali già ricchi. Le cose sembrerebbero tornare (che tornino quantitativamente è tutto da vedere, chissà se qualcuno ha mai analizzato flussi globali di quesot tipo). A quanto pare però le cose non tornano più tanto negli ultimi tempi. 

Azzardo una conclusione "poetica". La ricchezza non è un dato materiale che può esaurirsi, è piuttosto un continuo scaturire dalla "terra" (una terra metaforica, una miniera infinita), tramite lavoro, inventiva e organizzazione. I soldi non servono.

(Pochi giorni dopo questo post un amico mi ha fatto notare questa bellissima infografica )

(e qualche giorno dopo ancora ho scoperto questo interessante dibattito tra (neo?)liberisti sul perchè dei - persistentemente - bassissimi tassi di interesse, da cui emerge (cioè gli è sfuggita) un'interessante verità: il global saving glut concetto proposto nel 2005 da Bernanke e ritirato fuori sempre da lui nel 2015 anche se non del tutto accettato come spiegazione da noisefromamerika)

(e qualche giorno dopo ancora ho scoperto che c'è un simpatico dibattito in corso su come misurare la ricchezza nel mondo: Oxfam ha pubblicato un rapporto sulla diseguaglianza globale misurando la ricchezza sulla base di un rapporto di CreditSuisse in cui i debiti vengono sottratti per determinare il patrimonio degli individui; il giornalista Felix Salmon ha criticato questa scelta, Oxfam ha risposto e Salmon ha risposto ancora)

domenica 6 novembre 2016

Internet è piena di informazione incomprensibile

Il titolo di questo post è volutamente poco oggettivo (ognuno comprende cose diverse), poco quantificabile (non è sempre ovvio dire chi ha capito e chi no), poco verificabile (chi potrebbe mai fare un esperimento, una misura, in proposito?), e forse non si può neanche interpretare nel senso della percezione comune: temo che molti ritengano di capire tutto quel che leggono, cioè che l'incomprensione di cui parlo sia inconsapevole ai più.

Ogni giorno mi capitano degli esempi. Articoli, post di blog, twitter, video, interviste, che ambiscono ad analisi profonde e di grande interesse generale, e che spesso hanno anche un "odore comprensibile" (cioè una lettura superficiale, saltando tutti i punti "tecnici", suona piuttosto chiara), ma che in realtà poggiano su conoscenze specialistiche condivise da pochissimi. Accade soprattutto nella divulgazione scientifica e nell'analisi delle questioni economiche.

Probabilmente è un problema che appartiene all'informazione aldilà (prima e aldifuori) di internet, cioè al vecchio giornalismo, ma internet oggi è una miniera di informazione (e certo raramente di vero giornalismo) di profondità incalcolabile e senza alcun paragone con quel che c'è al suo di fuori.

L'esempio di oggi è un articolo che mi pare interessante, pubblicato su project syndicate , e tradotto su vocidall'estero , che è un sito di controinformazione sull'europa e non solo. E' chiaramente un articolo per "educati" eppure sarà stato letto e capito (?) da una platea molto eterogenea che include i veri "educati" (chi ha studiato in qualche forma più o meno accademica l'economia), i "maleducati" (tipo me, cioè chi ha studiato soprattutto su internet e sui blog), e i "noneducati" (cioè chi non ha fatto neanche quello). La mia presunzione è che i primi siano pochissimi, e la maggioranza stia tra i secondi e i terzi.

Proverò in un prossimo futuro a fare un'analisi del testo e mettermi alla prova, per vedere se (come esponente dei maleducati) posso dire di aver capito oppure no. Il mio sentimento (senza questa analisi) è già molto pessimista....

mercoledì 28 settembre 2016

Appunti per aiutare chi legge un giornale solo (post davvero molto in progress)

"We are, in the autumn of 1931, resting ourselves in a quiet pool between two waterfalls"


1) I problemi del mercato
  • Una figura per tutte, per ricordare chi ha vinto la lotta di classe
  • Una raccolta di saggi di Keynes che si leggono come fosse oggi
  • HOW WILL CAPITALISM END? Wolfgang Streeck [New Left Review, 2014]
  • Fifteen Fatal Fallacies of Financial Fundamentalism (W. Vickrey, premio nobel per l'economia) [Sito Columbia University, 1996], pubblicato su Proc. Nat. Acad. Sci. USA vol. 95, pag. 1340 (1998)
  • David Graeber, antropologo inglese, su come la moneta NON nasce dal baratto [NakedCapitalism 11-9-2011]
  • Grande svalutazione esterna non corrisponde mai a grande inflazione interna [Burnstein, Eichenbaum and Rebelo, NBER Working Papers 2002]
  • La crisi non era di debito pubblico [Bagnai 30/6/2016]
  • La flessibilità del lavoro in italia ha frenato la produttività [Bagnai 1-5-2013]
  • Serie econometriche da non dimenticare: disoccupazioneproduzione industriale, e cambio con la cina [Bagnai]
  • Il salvataggio delle banche tedesche [sole24ore ott 2011]
  • Ancora sull'illogica dei meccanismi di salvataggio bancari [corriere nov 2015]
  • Anche i tedeschi non sono daccordo coi tedeschi [repubblica giugno 2016]
  • Un documento dell'ILO (agenzia Onu per il lavoro) che a pag. 46 spiega i problemi creati dalle politiche di deflazione salariale tedesche  e a pag. 87 che "Higher government spending does not need to increase public debt" [ILO 2012]
  • Un buon riepilogo, con prospettva storica, del mercantilismo tedesco, da Gawronski sul fatto, il 18/2/2017
  • Americani contro Tedeschi dalla seconda guerra mondiali, da Gawronski sul fatto, il 1/6/2017
  • Un articolo radicale (di forte critica alle banche) dell'IMF discusso in debunkingeconomics [2-11-2012]
  • Il guardian (e il labour) sulla strada giusta: [The free market isn’t working – and Labour now dares to say so, Clive Lewis, 5/1/2017]  [Liberalism is suffering but democracy is doing just fine, Kenan Malik, 1/1/2017]
  • Sulla repressione dei mercati finanziari nei trentanni dorati keynesblog
  • Ancora sulla quota salarisecondo fmi [repubblica aprile 2017]
  • Rethinking economics: studenti inglesi che insorgono contro l'insegnamento dell'economia e scrivono un libro
  • Reteaching economics: la risposta degli accademici agli studenti di cui sopra
  • "bad economics leads to bad politics" [Larry Elliott, The Guardian 19/6/2016]
  • MINSKY: Reforming economics with visual monetary modeling   Steve Keen
  • Cina vs Germania [chinese social science today, 7-3-2016]
  • Voci di fisici che fanno anche gli economisti: Bouchaud su Nature, 30-10-2008
  • E sguardo sistematico ai vari volti della complexity economics [Arne Heise 2016]
  • Consigli di G. Zezza su articoli e libri da leggere: su secular stagnation e distribution and growth after Keynes
  • Da almeno due anni avevo notato alcune rassomiglianze fra la situazione che si era determinata in America negli anni Venti del secolo scorso, un periodo che sboccò nella più grave depressione nella storia del capitalismo, e la situazione che si andava delineando oggi in America. Le principali rassomiglianze consistevano nella rilevanza di certe innovazioni (elettricità e automobili negli anni Venti, elettronica, informatica e telecomunicazioni nel nostro tempo); nella formazione e nella diffusione di profitti alti e crescenti, dapprima nelle industrie nuove e poi via via nelle altre; nella speculazione di borsa, alimentata non solo dai profitti realizzati, ma anche dalle aspettative di profitti crescenti; nell'indebitamento a breve e a lungo termine legato alle occasioni, per le imprese, di investire in impianti e di acquisire nuove imprese e, per le famiglie, in beni durevoli di consumo, come gli immobili. Fenomeni simili potevano essere notati anche in Giappone, la cui economia, fino a pochi anni fa, era la più dinamica del mondo. Per interpretare il processo di sviluppo ciclico, tre fenomeni meritavano e meritano particolare attenzione, oltre le grandi innovazioni: la distribuzione del reddito, le forme di mercato e la sostenibilità dei debiti. Il motore dello sviluppo ciclico è costituito dalle innovazioni: più sono importanti, più sono diffuse le occasioni di investimento che offrono e più dura la fase di prosperità. Al tempo stesso, però, sono più vigorose le ondate speculative, più frequenti sono gli errori dei manager e più crescono i debiti, le cui dimensioni, cessata la prosperità, condizionano la durata della crisi. [Paolo Sylos Labini, Le prospettive dell'economia mondiale, settembre 2003, tradotto in italiano nel 2009]
  • Rethinking Economics di Bologna, intervista a Prodi e Brancaccio su youtube (marzo 2017)
  • Il [sito dell'Institute for the New Economic Thinking con un articolo interessante sulla storia del pensiero economico
  • Richard M. Goodwin un punto di partenza per un approccio "dynamical system" (o population dynamics) di ispirazione keynesiana/marxista alla macroeconomica
  • Una breve dispensa che riassume la galassia post-keynesiana


2) I problemi della moneta unica (e dell'europa come e' stata costruita negli ultimi 40 anni)


3) I problemi della sinistra in Italia e fuori (da 40 anni a questa parte...)



  • I partiti di sinistra europei devono cambiare, W. Munchau su Financial Times, qui tradotto
  • Elizabeth Warren (contro il ttp e a favore della reintroduzione del glass-steagall act) pronuncia un lucido discorso sulla storia e il declino della middleclass americana
  • Il "compagno" Ken Loach su Corbyn, [the guardian 28/2/2017]
  • Un lungo commento sulla storia del socialismo tra russia ed europa, partendo da Lenin e arrivando a noi [Mimmo Porcaro su socialismo.it, dicembre 2017]
  • Why Brexit Is Best for Britain: The Left-Wing Case [the New York Times, 28/3/2017]
  • On the Slogan for a United States of Europe [V. I. Lenin, 1915]


  • 4) I problemi della competenza (o degli esperti, della verita', della scienza, di tutto....)

    domenica 15 maggio 2016

    Il problema dei dati, seconda parte

    Nel post precedente ho proposto un "quiz impossibile", mostrando il grafico di un segnale

    chiedendo di che segnale si trattasse e quale fosse l'andamento su un tempo molto più lungo.

    Ecco la soluzione.

    Il grafico del quiz mostra (nel tempo, che è in ascissa) l'angolo percorso (o "ruotato") da una paletta di plexiglas di dimensioni circa 30x10x5 mm che - appunto - ruota intorno a un asse di acciaio (verticale) sottoposta agli urti di un "gas" di palline di plastica ("delrin") di 4mm di dimensione. Si tratta di un esperimento di fisica pubblicato su Physical Review Letters nel 2013:
    Le palline si muovono perchè agitate da uno shaker che scuote verticalmente il contenitore (il cilindro di plexiglas visibile nella foto a destra) creando un "gas di palline". Il gas di palline somiglia ad un gas di molecole (milioni di volte più piccole delle palline) che si agitano incessantemente intorno a noi, ad esempio nell'aria.

    La paletta di plexiglass (l'oggetto grigio che in alto a sinistra è mostrato sia in sezione che di fronte) è sospesa nel centro del cilindro e si agita per via degli urti che riceve dal gas di pallline. La paletta
    è asimmetrica rispetto all'inversione del senso di rotazione attorno all'asse. Questo permette (con qualche precisazione che non ho intenzione di fare qui) di avere una rotazione media in un ben determinato senso. 


    Il grafico del "quiz" mostra l'andamento dell'angolo ruotato dalla paletta nell'arco di 10 minuti e suggerisce un moto apparentemente casuale, avanti e indietro, con un primo periodo di apparente moto medio "decrescente" seguito da un secondo periodo di apparente moto medio "crescente". 

    Il grafico in basso a sinistra della figura grande (la curva nera) mostra lo stesso segnale del "quiz" ma su un tempo molto più lungo: 8 ore anzichè 10 minuti. In 8 ore si capisce molto meglio il destino della paletta. C'è un evidente moto medio crescente (nella convenzione usata nell'articolo l'angolo crescente corrisponde a una rotazione antioraria). La curva rossa mostra quello che succede se la paletta viene capovolta. Il senso della rotazione media si inverte (angolo mediamente decrescente, rotazione oraria). La curva azzurra mostra cosa accade se si prende una paletta con sezione simmetrica: la rotazione media è decisamente minore, trascurabile entro una certa tolleranza.





    Quello che colpisce, secondo me, è la notevole differenza tra le conclusioni che si traggono guardando la rotazione per soli 10 minuti, o per 8 ore. Dal segnale lungo si deduce che la rotazione media è di circa 80 radianti all'ora, cioè poco più di 10 radianti in 10 minuti. Nel grafico ristretto a soli 10 minuti, si notano escursioni dell'angolo ben superiori a 10 radianti in entrambe le direzioni. Questo fatto è piuttosto semplice da spiegare usando parole chiare agli statistici: la deviazione standard (radice della varianza) della velocità angolare istantanea della paletta è molto grande rispetto alla velocità media, e il tempo di decorrelazione particolarmente lungo. Spiegarlo a un pubblico più vasto richiede un po' di tempo, non lo farò qui, magari un'altra volta. Un video registrato dall'alto con una telecamera rapida aggiunge qualche elemento in più per capire la situazione.



    In futuro proverò a trarre da questo esempio concreto qualche lezione "metodologica" sull'uso dei dati in qualunque scienza.

    venerdì 19 settembre 2014

    Popular economy?

    Questo è un post in progress, lo editerò spesso. Voglio avere a portata di mano una lista di domande. Domande di economia. Perché?

    Per caso mi sono reso conto che le scienze, tutte, hanno il lato tecnico e quello divulgativo, mentre l'economia ha solo il lato tecnico. Non voglio discutere su cosa sia una scienza, o se l'economia è/non è una scienza. E non voglio neanche stare a specificare a che tipo di economia sto pensando (macroeconomia, economia politica, finanza, etc. etc.). Dico solo che mi manca un bravo divulgatore di economia. Mi pare che l'economia sia discussa sempre e comunque tecnicamente, anche quando il discorso è rivolto a un pubblico di non tecnici. Ci sono articoli più generosi di altri, che provano a semplificare. Ma manca la divulgazione nel senso pieno e maturo del termine, quella che passa per autori specializzati, per libri (o altri media dello stesso spessore o profondità) dedicati. Esistono infinite realtà di divulgazione della fisica, della matematica, della biologia, dell'astronomia, delle filosofie, della medicina, della chimica, etc. etc. etc. Gli anglo-sassoni parlano di science-popularization: la corrispondente voce di wikipedia elenca un numero formidabile di divulgatori di fama, l'elenco delle riviste o dei siti che si occupano di popular science è pressoché infinito. Provate su quella pagina a cercare la parola economy: non esce niente. In fondo in quale sistema scolastico si insegna l'economia a scuola? E quindi, come e perché mai si dovrebbe popolarizzare l'economia?

    Eppure l'economia interessa le persone. A ben guardare potrebbe (e spesso lo fa) interessare più della meccanica quantistica o dell'astrofisica. E infatti esiste un ricco filone di "informazione economica" (soprattutto siti web, blog), cresciuto molto in questi ultimi anni di crisi, ma è quasi sempre informazione ideologica: gli autori spendono le proprie energie nel cercare di dimostrare una tesi, senza alcun riguardo per la chiarezza e la comprensione. Il linguaggio tecnico è la norma e serve per nascondere in una coltre di fumo esoterico la parzialità degli argomenti.

    Probabilmente divulgare l'economia è difficile. Forse proprio perché meno "scienza" di altre (più difficile da inquadrare nel metodo scientifico, da stendere sul tavolo degli esperimenti, da osservare con il microscopio o il cannocchiale). Forse chi ci prova si ritrova comunque a fare ideologia e quindi perde la fiducia in quel senso di oggettivo che rende le altre scienze più convincenti e semplificabili. Ma potrebbe anche non essere così. Nelle università una qualche economia si insegna, esistono testi, manuali, scuole di pensiero e leggi stabilite, non necessariamente immutabili ma spesso condivise da una grande comunità. I migliori analisti dei fenomeni economici, quelli che scrivono i grandi libri di economia spesso rivolti a un pubblico molto più vasto degli addetti ai lavori (penso per fare l'esempio più semplice e alla moda in questo momento, a Thomas Piketty), hanno le idee chiare e una visione precisa e solida sugli argomenti del proprio studio. Se volessero, io credo, potrebbero sforzarsi di divulgare. Capital in the Twenty-First Century non è un libro di divulgazione, è un libro di ricerca venduto e pubblicizzato (non proprio onestamente) come un libro accessibile a chiunque.

    Ma quindi cosa significa divulgare l'economia? Forse non è del tutto ovvio. Può darsi che le domande stesse a cui rispondere, non sono chiare. Divulgare, per uno scienziato, a volte richiede uno sforzo notevole di presa di coscienza, di svisceramento critico del proprio linguaggio. Quando si imparano i concetti base della fisica si pensa di farlo in maniera rigorosa, ma moltissime sottigliezze vengono tralasciate, uno studente ne sarebbe distratto. Solo anni dopo, quando quello studente si trova in cattedra, si rende conto che le cose non erano così semplici. Ho il sospetto (davvero poco documentato, è un pregiudizio che mi piacerebbe vedere smontato) che questa "autocritica" nel caso dell'economia sia devastante o addirittura impossibile. Un paio di anni fa ho letto "Debt" di Graber, e ho provato un certo piacere nel veder smontato (dal mio ingenuo punto di vista, in maniera estremamente convincente) il mito dell'uomo preistorico che inventa la moneta per risolvere le scomodità del baratto. Eppure il concetto di moneta viene insegnato nelle università a partire da questo mito.

    Il pubblico (ad esempio: io) è abituato a leggere affermazioni incomprensibili negli articoli di economia. Accetta questo stato di cose perché ha familiarizzato con queste affermazioni. Le ritrova identiche in molti articoli. A volte un'affermazione incomprensibile viene smontata e sostituita da una nuova affermazione ugualmente incomprensibile. A volte si crede di capire, per assonanza, per vaga analogia, per sfinimento. Si perde il senso della comprensione: non ho capito, ma neanche me ne rendo conto. L'importante è che sono d'accordo. Condividere è l'imperativo social, non capire.

    Provo quindi ad elencare le mie domande, piano piano, quando mi vengono in mente. E le metto qui sotto. In attesa che venga il Divulgatore.

    1) la ricchezza si crea dal nulla? e se sì, come? (siamo chiaramente più ricchi di 50, 100, 1000 anni fa: ma questa ricchezza era semplicemente nascosta nel nostro pianeta e l'abbiamo tirata fuori? oppure l'abbiamo inventata? e se l'abbiamo inventata, perché non ne inventiamo di più?)

    2) perché ci si aspetta che una crisi finisca? non potrebbe continuare per sempre?

    3) come funziona esattamente il ciclo monetario? da dove nasce la moneta fisica, e come succede che passando di mano in mano il suo valore cambia e contemporaneamente la quantità virtuale di moneta aumenta?

    4) bisognerebbe spiegare bene anche cosa sia l'economia: non è la finanza, non è la moneta, non è il commercio; ho sentito qualcuno dire che l'europa (oggi che la germania vuole spingere la grecia nella povertà) è governata dall'economia e non dalla solidarietà: sono veramente in contrapposizione queste due parole?

    5) si puo' fare un'economia con due persone? quant'e' il minimo?